Il prezzo del conflitto lo pagheranno i lavoratori con licenziamenti e carovita. Non un centesimo, un fucile o un soldato per la guerra. Blocchiamo i nostri porti al traffico di armi. È l'ora della variante operaia. Come lavoratori portuali non abbiano nessuna intenzione di restare indifferenti di fronte ai nuovi venti di guerra che tornano a soffiare in Europa.
Questo conflitto, che ha una genesi che va ben oltre la ricostruzione di comodo dei nostri media nazionali e dei nostri politici, come ogni guerra nella storia, avrà delle pesanti conseguenze per tutti i noi. A pagarne le spese saranno proprio i lavoratori e le lavoratrici. In Ucraina e Russia ovviamente, ma anche nei paesi europei, attraverso l'aumento del costo dei beni energetici come gas e petrolio e delle spese militari. Tutto ciò porterà a contraccolpi devastanti per il nostro Paese. I licenziamenti di massa e le ristrutturazioni, che non si sono mai fermate, andranno avanti senza sosta. Milioni di lavoratori, già in difficoltà a seguito della crisi pandemica, si ritroveranno con aziende chiuse e stipendi più bassi. Con l'aumento del carovita e nessun adeguamento salariale complessivo a partire dai minimi tabellari, il potere di acquisto sarà ridotto drasticamente. Il prezzo della benzina che ha raggiunto cifre record (2,50€ per litro) e non accenna a fermarsi, inciderà anche sulla mobilità dei lavoratori e sul costo dei prodotti finali, a partire anche da quelli alimentari.
Tutto ciò mentre il nostro Governo, utile servo della Nato e degli interessi americani, cerca di trascinarci ancora di più nel conflitto con l’invio di risorse economiche e l’adozione di sanzioni. Politiche che alimentano solo il conflitto. Perché è nostra convinzione che l'economia di guerra e i traffici d’armi che questa determina sono una delle principali cause dei conflitti e della loro deflagrazione quando le classi dirigenti li alimentano, operando in palese spregio delle leggi nazionali secondo cui l’Italia ripudia la guerra e si astiene da ogni fornitura e supporto militare alle parti belligeranti.
Quello che dovrebbe essere un punto fermo della vita politica e civile del nostro Paese, da decenni ormai è stato completamente messo in soffitta in ossequio a interessi industriali e geopolitici del tutto estranei ai lavoratori.
Il tema della guerra e quello del lavoro sono strettamente collegati. Tenerli separati sarebbe un errore, soprattutto per noi lavoratori portuali che lavoriamo a stretto contatto con le merci e non vogliamo essere complici della guerra movimentando armamenti di qualsiasi tipo e qualsiasi destinazione nei nostri scali.
Per questi motivi il coordinamento nazionale dei portuali USB ha deciso di lanciare una giornata di mobilitazione a Genova in occasione dell'arrivo nel porto della nave saudita Bahri carica di armamenti statunitensi.
In queste settimane i nostri lavoratori hanno effettuato un lavoro di monitoraggio negli scali in cui siamo presenti, denunciando qualsiasi movimento di armamenti, da Genova a Livorno, passando per Trieste e Civitavecchia. All’aeroporto di Pisa i lavoratori USB si sono già rifiutati di caricare armamenti su un aereo civile che, sulla carta, avrebbe dovuto trasportare aiuti umanitari.
Abbiamo deciso di convergere su Genova il 31 marzo promuovendo anche un'assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici impegnati su questi fronti. Un momento importante di lotta e confronto che servirà anche per confermare la nostra adesione alla mobilitazione del 22 aprile a Roma quando i lavoratori dell'industria, del commercio, della logistica, del trasporto e dei porti scenderanno in sciopero e porteranno direttamente di fronte ai palazzi del potere, la loro rabbia e la loro determinazione.
Nessun commento:
Posta un commento