26/10/2021 - Mentre siamo abituati alle dichiarazioni allarmiste provenienti dagli USA, la cui ultima missione da Impero sembra quella di dover fermare la Cina, non pensiamo minimamente a chiederci chi invece fermerà l’Italia, che si rivela molto più pericolosa. L’Italia è non solo l’unico paese al mondo che ha introdotto il Green pass per l’accesso al lavoro, ma vanta il ritorno di inossidabili progressisti come Romano Prodi, che inneggiano a un Green pass perpetuo, che dovrà essere mantenuto anche dopo il 31 dicembre, “finché ce ne sarà bisogno”, cioè a tempo indeterminato. Prodi non ha perso nemmeno l’occasione di fare il moralista con coloro che il 15 ottobre, primo giorno del Green pass sul luogo di lavoro, si sono dati malati o hanno dichiarato sciopero. Se c’è una cosa che contraddistingue i moralisti, questa è l’ipocrisia, a parità di quella del clero cattolico incline alle peggiori nefandezze, che serve a velare l’innata crudeltà e il disprezzo per l’essere umano con la retorica del bene comune e l’esempio dei migliori, fra cui i moralisti mettono al primo posto sempre se stessi.
Durante il lockdown la digitalizzazione si era presentata con volto rassicurante, anzi, era la mano della provvidenza che garantiva la continuazione dello studio attraverso la Dad, del lavoro attraverso lo smart working, dei rapporti sociali attraverso i social, dei consumi attraverso l’e-commerce e della produzione grazie all’assistenza di algoritmi e automatizzazione. Il Green pass, nonostante fosse una logica progressione di questa veloce trasformazione digitale, si è rivelato fin da subito sotto una luce negativa, non affatto provvidenziale come vorrebbe la propaganda mediatica, ma piuttosto osceno e avvilente: uno strumento di digitalizzazione forzata che prende in ostaggio la privacy e la libertà di circolazione, trasforma le persone in appendici biologiche di una app e pone l’identità digitale a condizione obbligatoria non solo della socialità, ma della stessa sopravvivenza.
I lockdown hanno avuto un irreversibile impatto sull’economia reale: hanno messo fuori mercato migliaia di esercizi commerciali e piccole aziende (“40 000 hanno gettato la spugna” secondo Il sole 24 ore). Questo a conferma delle teorie di neodarwinismo sociale, secondo cui nei momenti difficili i soggetti forti come Amazon e le grandi corporazioni sopravvivono, mentre i soggetti deboli soccombono. E dato che si tratta di “selezione naturale”, non si dovrebbero prendere troppo a cuore fallimenti ed estinzione di imprese, per cui il mainstream continua a ribadire la tesi che il sistema della Piccola e Media Impresa italiano è un bacino di evasione fiscale e di inquinamento ambientale. In cambio però possiamo affidarci alle multinazionali, che non hanno bisogno di evadere il fisco, perché lo eludono legalmente con le zone franche e le fondazioni “non profit”, e hanno la certificazione green di basso impatto ambientale, nonostante inquinassero sia col CO2 che con il litio proporzionalmente molto più della PMI. Negli USA, dalle aziende che degradano e inquinano maggiormente l’ambiente, Amazon è al primo posto in diversi stati.
Siamo abituati al discorso che il denaro segue il denaro, e quindi che i flussi dei capitali convergono in poche mani. In realtà questo vale solo per la finanza, mentre nell’ambito industriale ci sono altri fattori. Con i lockdown e l’istituzione del Green pass si è avuta l’ennesima prova che la concentrazione dei capitali industriali non è affatto operata dalla selezione di mercato in momenti di crisi, bensì dalle decisioni politiche. Attraverso forzature narrative e impalcature emergenzialiste i governi possono decidere di ostacolare alcuni settori economici e di favorirne altri, realizzando perfino una forma di assistenzialismo per i più ricchi. Così gli ostacoli frapposti artificiosamente alle attività produttive tradizionali aprono spazio al prepotente ingresso del capitale multinazionale che è legislativamente assistito dagli Stati: da quello italiano in particolar modo.
Il fatto che Italia sia l’unico paese ad aver adottato per legge il Green pass sul luogo di lavoro è perfettamente in linea con il fatto che la pandemia ‘all’occidentale’ ha avuto inizio proprio in Italia, con la prima adozione di un lockdown nazionale, molto più totalitario di quello adottato dal governo cinese (sempre grazie al “genio italiano”, direbbe Prodi). L’identità digitale obbligatoria si prospetta come il più grande business della storia e questa è un’altra ambizione di primato dichiarata da Speranza e ribadita pochi giorni fa da Draghi, che vuole che “l’Italia guidi la transizione digitale della UE”. Questo primato implicherà importanti risvolti di ordine pubblico, legati al controllo dei dispositivi, e ancora più importanti risvolti finanziari, legati all’adozione della moneta elettronica e alla possibilità di unire in un unico dispositivo identità anagrafica, libretto sanitario, cartella esattoriale e conto corrente. Insieme a questo sarà perseguita ancora più velocemente la corsa all’istallazione e l’applicazione del 5G. In tutto ciò l’Italia sarà non solo una forza trainante dell’agenda di Davos, dove tenendo lo scettro dell’emergenzialismo detterà le scadenze anche per gli altri paesi, ma cercherà di consolidare la propria oligarchia. Grazie all’adesione di Landini e gli altri sindacati all’agenda affarista di Confindustria, tutti uniti dall’incondizionato culto di Draghi, l’oligarchia italiana sarà quella che con maggior successo avrà piegato la propria popolazione a fare da cavia sia dei trattamenti sanitari che dell’identità digitale obbligatoria, il che la metterà in prima fila nella spartizione di quote d’influenza insieme a cospicui fondi finanziari. Ma il 2021 è stato l’anno italiano anche in campo di eventi mondiali sportivi e mass-culturali, conclusosi perfino con un azzeccatissimo Nobel italiano per la climatologia. In tempi non sospetti si sarebbe potuto parlare di un vero e proprio ‘miracolo italiano’, ma purtroppo è l’emergenzialismo a fare la differenza.
Sembra un anno di primati negativi e di premi da contentino, ma, d’altronde, la predisposizione del popolo italiano è stata preparata da tempo attraverso la continua colpevolizzazione per il debito pubblico (ripagato già due volte e mezzo) e con i soliti pregiudizi razzisti, anzi – auto-razzisti, di come gli italiani siano furbi, pigri, spendaccioni e poco ligi alle regole e al dovere di pagare tasse e debiti. Non è difficile capire che con la retorica del discredito, oltre ad assecondare la bassa autostima di politici e giornalisti, l’oligarchia italiana sta cercando di ridefinire ed elevare il suo status all’interno della gerarchia internazionale, mettendo a disposizione il paese come il più importante laboratorio dell’agenda transitiva, che la stessa élite occidentale ha voluto chiamare “great reset”. Nella prospettiva di poter raggiungere obbiettivi così ambiziosi, per l’oligarchia il popolo disobbediente del “no green pass” diventa un ostacolo da abbattere, per cui gli vengono attribuite le peggiori qualità come la propensiene al fascismo, refrattarietà ai cambiamenti e deriva anti-scientifica (secondo uno degli ultimi discorsi di Mattarella).
In tutti i conflitti epocali, anche in quelli ibridi e a bassa intensità come questo attuale, il popolo rappresenta il primo bersaglio delle oligarchie, dove, quando non viene usato come carne da macello, viene usato da cavia sperimentale. Le opposizioni spontanee al Green pass si stanno svolgendo nel nome della difesa della democrazia e della legalità costituzionale, ma paradossalmente per le oligarche la democrazia è stata sempre solo un impiccio da superare, in particolar modo se troppo lenta e dispendiosa per il raggiungimento di certi obbiettivi. Bisogna comprendere che lo scenario attuale non rientra semplicemente in un piano di transizione socio-economica, e quindi anche di superamento delle garanzie democratiche, ma in uno scontro imperialistico tra centri d’interesse multipolari, dove alle oligarchie occidentali poco importerà del rispetto di diritti e libertà fondamentali.
Ogni conflitto imperialistico comporta anche gli scontri civili. Un conflitto a bassa intensità non esclude affatto la brutalità, tutt’altro: brutalità non solo contro le opposizioni, ma anche nei confronti di asserviti e collaborazionisti, a cui non si risparmia nessuna umiliazione e non si concede più alcuna parvenza di dignità, come si è visto con Maurizio Landini e con quei professori universitari costretti per paura a firmare un puerile ed auto-squalificante appello contro Giorgio Agamben. Il successo di ogni totalitarismo si regge oltre tutto sull’adesione del ceto ‘colto’, che poi è quello più conformista. Ma quello del conformismo è il principale partito italiano, tanto è che dopo la caduta del Fascismo, le regioni italiane più fasciste sono diventate all’improvviso quelle più comuniste, il che ha poco a che vedere con la consapevolezza storica e l’onestà intellettuale. La domanda comunque è sempre quella iniziale: al netto del collaborazionismo dei ‘colti’, chi fermerà l’Italia nel suo inesorabile avanzamento verso il totalitarismo? Come sarà finanziata la lotta interna e in quale schema geopolitico potrà essere individuata un’alleanza o un sostegno esterno? E in caso la resistenza dovesse prendere forma organizzata, potrà esserci una liberazione d’Italia senza che ciò non determini il crollo dell’intera UE? Il che forse sarà una motivazione maggiore, sia per le opposizioni interne che per le forze esterne.
Zory Petzova
https://liberopensare.com/il-modello-italiano-e-lavanzamento-del-totalitarismo/
1 commento:
la generazione prossima se arriverà, una marionetta sarà😒
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