Una ricerca della Brown University ha calcolato le emissioni del Dipartimento della Difesa USA: gli spostamenti di truppe e armamenti sono causa di quasi il 70% delle emissioni.
Tra il 2001 e il 2017 le attività coordinate dal Pentagono hanno causato l’emissione di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2, pari all’inquinamento di 255 milioni di veicoli
(Rinnovabili.it) – Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è responsabile di più emissioni di gas serra rispetto a intere nazioni come Portogallo, Svezia o Danimarca: a rivelare la straordinaria produzione di CO2 del Pentagono è stato una ricerca del Watson Institute for International & Public Affairs della Brown University di Providence, nel Rhode Island.
Secondo gli studiosi americani, il complesso delle attività coordinate dal Pentagono sarebbe responsabile dell’emissione di 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra tra il 2001 e il 2017 (l’equivalente di quanto emesso da 255 milioni di veicoli ogni anno), di cui oltre 400 milioni di tonnellate dovuto al consumo di carburanti in zone di guerra, dall’Afghanistan all’Iraq, fino alla Siria.
Se il Dipartimento della Difesa a stelle strisce fosse una nazione, con le 59 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel 2017 si attesterebbe al 55esimo posto tra i Paesi responsabili di maggiori emissioni, subito prima di economie sviluppate come il Portogallo (57esima piazza) o la Svezia (65esima posizione).
A pesare sull’impronta di carbonio del Pentagono sono i consumi dei circa 560 mila edifici (tra uffici, organi di rappresentanza e installazioni militari) sparsi sul suolo americano e straniero che rappresentano circa il 40% delle emissioni, ma soprattutto l’utilizzo di carburanti per mobilitare truppe e attrezzature da guerra:secondo lo studio, nel solo 2016, le operazioni militari della Difesa americana hanno consumato quasi 86 milioni di barili di carburante.
L’aviazione è il settore più assetato di carburanti fossili: secondo i dati riportati nella ricerca, un bombardiere B-2 consuma 4,28 galloni di carburante ogni miglio ed emette 250 tonnellate di gas serra su un percorso di 6 mila miglia nautiche. Con questi numeri, persino singole missioni possono diventare un vero e proprio problema ambientale: nel gennaio 2017, ad esempio, 2 bombardieri B-2B e 15 velivoli di rifornimento hanno viaggiato per oltre 12 mila miglia dalla base militare Whiteman fino a colpire una postazione dell’Isis in Libia. I soli B-2B avrebbero emesso non meno di 1.000 tonnellate di gas serra in quell’occasione.
In un report dello scorso gennaio, lo stesso Ministero della Difesa definiva il cambiamento climatico una questione di sicurezza nazionale e invitava il Congresso degli Stati Uniti a predisporre azioni concrete a contrasto del fenomeno.
La ricerca sottolinea come il Pentagono abbia fatto diversi sforzi a partire dal 2009 per cercare di ridurre le proprie emissioni, ad esempio adottando veicoli meno inquinanti e installando impianti rinnovabili presso uffici e stazioni militari. Allo stesso tempo offre un aiuto al Dipartimento per migliorare ulteriormente l’impegno.
Neta Crawford, principale autore dello studio e docente di Scienze politiche alla Boston University, sostiene che altre misure potrebbero essere prese per tagliare ulteriormente il rilascio di gas serra della Difesa come ad esempio diminuire le missioni aeree di protezione del Golfo persico, non più una zona essenziale per gl’interessi economici statunitensi nel momento in cui le rinnovabili possono rappresentare una valida alternativa ai carburanti fossili. FONTE
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