E’ passata poco più di una settimana da quando i cittadini di Melendugno, in provincia di Lecce, si sono svegliati in un territorio completamente militarizzato.
“Sembra di stare in guerra” hanno riferito scendendo in strada l’indomani in un’atmosfera al limite della realtà. Un’ordinanza del prefetto Claudio Palomba infatti stabilisce che il territorio è stato assegnato “nella disponibilità delle forze di polizia” con “ingresso e stazionamento interdetto a chiunque”, salvo proprietari muniti di apposito pass.
Le campagne nei dintorni del cantiere sono state blindate con barriere antisfondamento, recinzioni e cancelli e 24 terreni requisiti nonostante siano fuori dal tracciato del gasdotto.
Una situazione surreale che si è tramutata in uno choc per la comunità locale anche per gli enormi disagi che il provvedimento ha causato nella vita di tutti i giorni della comunità. Il 13 novembre i cittadini si sono trovati sotto il controllo di centinaia di agenti di polizia ad ogni varco, dopo che nella notte erano ripresi i lavori del gasdotto TAP.
Le zone vicine al cantiere sono presidiate, la marina di San Foca è inaccessibile e lo sarà fino a metà dicembre: l’accesso è consentito solo ai residenti con una totale sospensione dei diritti più elementari senza che nessuna emergenza lo richiedesse.
“Siamo stati sequestrati per tutta la notte”, hanno detto gli attivisti noTAP presenti al presidio di fronte all’area di cantiere, bloccati lì fino al mattino inoltrato. Il vicesindaco di Melendugno Simone Diana ha spiegato che: “Non c’è stato modo di tornare a casa per chi, come me, è rimasto nella cintura compresa tra contrada San Basilio e il paese. La polizia ha detto che ha l’ordine tassativo di non far entrare o uscire nessuno”.
Dietro mura e reti metalliche, decine di ulivi pugliesi pronti all'abbattimento finale per far posto al gasdotto Tap:
Intanto un’immagine che ha fatto il giro dei social network racconta meglio di mille parole la situazione. “Non è Berlino. Non è Tijuana. Non è Gerusalemme. È San Basilio, Melendugno (Lecce)”, ha scritto Salvatore Piconese su Facebook pubblicando una foto in cui due persone camminano a fianco ad una lunga barriera antisfondamento con basamenti in cemento e filo spinato che protegge il cantiere (foto sotto).
Sabato 18 novembre i manifestanti hanno provato a forzare l’area in cui il prefetto ha schierato oltre 250 agenti e la protesta non si è fermata.
A generare nuovi scontri è stato un workshop dal titolo “Sicurezza e tutela ambientale nello sviluppo di progetti energetici”, organizzato da Safe e che vedeva tra i relatori Michele Mario Elia, country manager di Tap Italia, ospitato nella sede del rettorato leccese.
Alcuni manifestanti sono riusciti a introdursi all’interno dell’edificio, registrandosi regolarmente per assistere all’evento e interrompendo di fatto i lavori, mentre all’esterno un centinaio di attivisti del comitato NoTap sono stati caricati e respinti dalle forze dell’ordine mentre Michele Mario Elia e gli altri partecipanti al convegno lasciavano il rettorato da un ingresso secondario, scortati da agenti della digos.
Da sottolineare che il costo dell’intera operazione per la creazione di quella che è stata definita una “zona cuscinetto”, è sostenuto da TAP, ma è al governo italiano che spetta invece il mantenimento della sicurezza: diverse decine sono i mezzi blindati e circa 250 tra poliziotti e carabinieri dei reparti speciali che paghiamo noi con i soldi nostri per militarizzare i cittadini e far devastare il nostro territorio da una società con sede in Svizzera che non pagherà mai le tasse nel nostro Paese.
Intanto i 55 milioni di euro messi da Saipem e Tap sul tavolo delle compensazioni hanno contribuito a spaccare il fronte unitario dei sindaci dei paesi interessati che erano rimasti compatti e contrari all’opera: dei 94 totali circa un terzo si sarebbe detto disponibile ad intavolare una trattativa con il governo anche per chiedere impegni ambientali a fronte della realizzazione del gasdotto.
Restano le parole del sindaco di Melendugno Marco Potì, che giudica l’ordinanza del prefetto come “sovradimensionata” rispetto alle necessità di tutela del cantiere e “troppo oppressiva” delle libertà dei cittadini.
I giornalisti di Telerama News sono andati nella zona che è stata soprannominata “la striscia di San Basilio” ed il racconto è sconcertante: “Ci sono pattuglie ovunque, ad ogni varco, anche in pineta, lungo la litoranea.
Sulla recinzione è comparso il filo spinato; le strade sono occupate dai mezzi pesanti; i cancelli sono stati installati.
Ciò che più è ritenuto odioso, però, è che la digos scorti i proprietari fin sulla soglia di casa”. Con il timore lacerante che “quell’ordinanza prefettizia di 30 giorni venga prorogata per anni, fino alla fine dei lavori”.
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